"The Silence of Time, Parigi, 2005" - Michele Torsello

giovedì 29 maggio 2008



Fare silenzio
per sentire i flebili suoni
dell'anima,

per ascoltare il giorno
più invisibile,

per guarire l'anima
ammalata
di rumore.

Fare silenzio
per rintracciare
il battito di quel cuore
che
s'è smarrito.

mercoledì 21 maggio 2008

Umberto.


Un ricordo affiorato all’improvviso. Non ti ho sognato né ho pensato a te in questi lunghi anni. Ti chiamavi Umberto come molti italiani, nati nei primi anni del ‘900. Eri il marito di Antonietta, la mia adorata tata. Io, piccola peste, nei primissimi anni della mia vita, t’incontravo solo nella cucina di mia madre dove preferivo consumare i miei “pasti di passerotto”, come li chiamava Antonietta, lì con voi e non in camera da pranzo, ”il tinello” dov’era il resto della famiglia. Tu non parlavi mentre lei ci serviva il pasto, ma mi fissavi a lungo, non potevi neanche sgridarmi se rifiutavo di mangiare. Disapprovavi con lo sguardo, con gli occhi mi dicevi che mi amavi come fossi figlia tua. Non avevi alcuna autorità, la mia tata era lei, tua moglie, tu il “tuttofare” nella casa dei miei. Antonietta ci lasciò, quando avevo undici anni, prima grande perdita della mia vita. Per un anno, non avemmo più notizie tue, né del tuo dolore. Un giorno, però, tornando da scuola, ormai fanciulla del liceo, ti trovai lì in cucina, seduto un po’ distante dalla tavola. Nessuno più mangiava in cucina. Ti abbracciai lungamente e non ricordo se rispondesti qualcosa al mio “come stai?”. Successe ancora, per molti mesi, tornavo da scuola e ti trovavo lì, nella nostra cucina, ed intorno alla tavola solo tu, che però non hai più pranzato con me. Poche domande sui voti a scuola, qualche timida raccomandazione e un abbraccio che partiva da me, come saluto. Un giorno sei rimasto qualche minuto di più, eri nervoso, temevi di perdere la “corriera” che ti riportava al paese. Quel giorno l’abbraccio di saluto partì da te, i tuoi occhi, mi fissarono a lungo, per l’ultima volta.
Mi lasciavi, per sempre.

Foto di Claudio Martella.

lunedì 19 maggio 2008

Forse un mattino andando in un'aria di vetro.

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi
il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno
di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi, ed io me n'andrò
zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio
segreto.

Eugenio Montale

lunedì 12 maggio 2008

Prefazione Inedita.


Giovanni Verga aveva scritto una prefazione a "I Malavoglia" che poi non fu pubblicata. Ve ne ripropongo un passaggio.

Quando vi siete trovati di notte nelle vie deserte di una grande città, davanti al fanale spento e col sigaro in bocca, non vi ha colpito l’impressione straordinaria che produce in voi quella calma? Allora forse avrete cercato dietro le finestre chiuse le vaghe forme indistinte di persone ancora deste, o il capo sull’origliere che cerca il sonno con occhi spalancati, o il pallido volto chino sulle pagine di un libro, o il passo ebbro dell’uomo che ha giocato l’ultimo suo denaro, o il respiro pesante dell’operaio che riprenderà col giorno il suo lavoro, un’espressione qualsiasi della vita che sentite in voi, e che vi tace intorno. Di fantasticheria in fantasticheria tutta questa gente che travaglia ancora col pensiero, che si agita e vive, vi sfila davanti, per le vie buie, come in un giorno di festa, in una processione fantasmagorica in cui passano tutti gli appetiti, tutte le febbri, tutte le avidità, tutte le aspirazioni grandi e piccine; … Ma visto davvicino il grottesco di quei visi anelanti non deve essere evidentemente artistico per un osservatore?...e questo osservatore meno frettoloso degli altri, chinandosi sui caduti per esaminarne le convulsioni, sostando un momento dinanzi alla verità che la folla si lascia indietro nella fretta di correre avanti, o agli effetti che gemono invano o alle febbri che si scambiano per passioni , o alla giustizia su cui si mettono i piedi, non ha il diritto di esclamare: - Che peccato!.


Foto: "Aurora nel mare di Acitrezza" di Giovanni Greco.

sabato 10 maggio 2008

Con Questa Chiudo


Con questa chiudo

Eppure si deve fare,

si arriverà dove si muore

e si vivrà per venti anni ancora,

non saremo nessuno

e non avremo fatto nulla.

Allora la sete di dare ci dilanierà

e resteremo soli

persi

fottutamente morti

nel normale sociale

con un giornalista di parte che ci insulta in tv.

Mia moglie che cucina

i miei figli che fottono

e se ne fottono

ed io chiudo il lucchetto del mio io

e butto la chiave.

(Loreto Ciccarelli)

mercoledì 7 maggio 2008

Dove vanno i Pensieri?


[...] "Ma i pensieri muoiono? Oppure si gonfiano all’infinito, si clonano e si travasano? I pensieri si scambiano il nostro codice genetico? O restano imperturbabili a scrutarci mentre declamiamo la nostra intelligenza?".

(Enzo Rasi)

martedì 6 maggio 2008

domenica 4 maggio 2008

Portami con te



Portami con te
Portami con te nel mattino vivace
le reni rotte l'occhio sveglio appoggiato
al tuo fianco di donna che cammina
come fa l'amore,
sono gli ultimi giorni dell'inverno
a bagnarci le mani e i camini
fumano più del necessario in una
stagione così tiepida,
ma lascia che vadano in malora
economia e sobrietà,
si consumino le scorte
della città e della nazione
se il cielo offuscandosi, e poi
schiarendo per un sole più forte,
ci saremo trovati
là dove vita e morte hanno una sosta,
sfavilla il mezzogiorno, lamiera
che è azzurra ormai
senza residui e sopra
calmi uccelli camminano non volano.
Attilio Bertolucci